giovedì 25 marzo 2010

Paolo Farinella (1953-2000), scienziato


Esattamente il 25 marzo di 10 anni fa, moriva Paolo Farinella, un grande scienziato italiano e un amico. Il prossimo giugno ci sarà a Pisa un congresso internazionale di planetologia per rammentare i molteplici contributi che Paolo ha dato. Per quanto mi riguarda, anche se sono ormai parecchi anni che non faccio più ricerche su meteore e asteroidi, rimane comunque un senso di gratitudine verso Paolo perché non posso dimenticare che quando ero in difficoltà non ha esitato a darmi una mano. Desidero quindi riprendere le parole che scrissi a caldo, il 26 marzo di dieci anni fa, poche ore dopo che Paolo ci aveva lasciato, perché sono parole in cui ancora mi riconosco.

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Bologna, 26 marzo 2000

I reprint sono ammucchiati disordinatamente sul tavolo. Li avevo raccolti per Paolo e avrei dovuto inviarglieli, come periodicamente facevo da quando si era sentito male, lo scorso luglio. Erano lì, in attesa che Paolo si riprendesse dal trapianto cardiaco dell'8 febbraio scorso. Un'operazione effettuata in condizioni critiche, col fisico già debilitato per una lunga attesa. Un arresto cardiaco il giorno precedente al trapianto aveva danneggiato il cervello e, anche se il trapianto aveva avuto successo, le speranze per una piena ripresa di Paolo erano ormai aggrappate a un lumicino. Ieri, 25 marzo 2000, alle 7:30 si è spento anche quell'ultimo lumicino.

Le emozioni sgorgano incessantemente, aggrovigliandosi l'una con l'altra, e mi ritrovo a scrivere per cercare di sublimare la malinconia. È difficile tracciare un quadro completo della vita di Paolo Farinella, specialmente per me che l'ho conosciuto solo negli ultimi anni. Molti altri hanno avuto la fortuna di conoscerlo per un maggiore tempo e possono quindi dare un quadro più ampio. Quando ieri sera Giuseppe [Longo] mi ha chiesto di preparare una pagina web da dedicare a Paolo ho accettato volentieri, anche se sono conscio che posso solo tracciarne un ricordo soggettivo e parziale. Sento però la necessità di scrivere qualcosa per dare un contributo a mantenerne viva la memoria, per raccontare qualcosa di questo uomo così grande, ma dall'aspetto gracile e minuto.


La ricerca scientifica: Paolo Farinella era diventato professore associato all'Università di Trieste dal 1 novembre 1998, ma il suo cuore era rimasto a Pisa, dove aveva svolto gran parte della sua attività di ricerca e dove aveva molti carissimi amici. Paolo era anche membro della Division of Planetary Science of the American Astronomical Society e della International Astronomical Union (IAU). Era inoltre nel comitato editoriale delle riviste scientifiche internazionali Icarus e Meteoritics & Planetary Science. Per la sua attività di ricerca scientifica, nel 1987 gli era stato intitolato l'asteroide (3248): la motivazione cita le ricerche di Paolo sull'evoluzione dinamica e collisionale degli asteroidi e sulle famiglie di Hirayama.

Paolo era anche molto attivo nel processo di disarmo internazionale: era membro del Consiglio Scientifico dell'Unione degli Scienziati per il Disarmo (USPID), del Committee of the Forum on the Problems of Peace and War e delle Pugwash Conferences on Science and World Affairs.

Parlare di tutte le ricerche di Paolo richiederebbe molto più spazio e uno studio molto accurato, che non quanto disponibile in una pagina web. La produzione scientifica di Paolo è vastissima, al punto che viene da chiedersi cosa sarebbe stato lo studio degli asteroidi senza il suo contributo. C'è da augurarsi che venga presto realizzata una raccolta dei suoi scritti più importanti. Di seguito, c'è quindi solo un breve e sommario elenco di alcuni lavori di Paolo. Per i suoi articoli si può effettuare una ricerca con l'Astrophysical Data Service della NASA, da cui è possibile scaricare anche molti reprints.

Senza dubbio la ricerca che più ha appassionato Paolo, e di cui forse andava molto fiero (al punto da essere affettuosamente preso in giro da alcuni colleghi), era quella sull'effetto Yarkovsky, realizzata in collaborazione con David Vokrouhlicky. Il risultato principale si può riassumere nel fatto che questo effetto agisce su asteroidi fino a circa 20 km di diametro, causandone la deriva del semiasse maggiore fino a quando non "cadono" nelle risonanze che li trasportano verso Marte o nello spazio circostante la Terra (P. Farinella e D. Vokrouhlicky, Semimajor axis mobility of asteroidal fragments. Science 283, 1999, 1507). Lo studio dell'effetto Yarkovsky rappresenta forse l'apice di una vita di ricerche sulla dinamica interplanetaria e l'evoluzione collisionale degli asteroidi. Ha indagato sia gli oggetti della fascia principale, sia quelli della fascia di Edgeworth-Kuiper, sia quelli localizzati nei punti lagrangiani.

Degli studi di cui sopra, una particolare attenzione è stata dedicata al trasporto di meteoriti, e anche oggetti più grossi, verso la Terra. In particolare, Paolo ha sempre seguito le spedizioni a Tunguska sin dalla prima nel 1991. Come racconta Giuseppe Longo, Tunguska era per Paolo un mito della gioventù e gli dispiaceva che la salute gli impedisse di partecipare alle spedizioni. Nonostante questo, Paolo fu un infaticabile braccio destro nell'organizzazione della conferenza internazionale Tunguska96 e aveva già iniziato a collaborare anche con la spedizione Tunguska99. Avrebbe dovuto fare una comunicazione in proposito a ACM99, ma il cuore glielo ha impedito.

Inoltre, Paolo studiò l'evoluzione dinamica degli asteroidi in relazione al pericolo di impatto con la Terra. Basti pensare ai numerosi articoli su Eros: per una curiosa coincidenza, proprio lo scorso 14 febbraio, mentre Paolo inziava il suo ultimo calvario, la sonda NEAR entrava in orbita stabile intorno a Eros. Paolo studiò anche il flusso di corpi tipo Tunguska dalla fascia principale verso la Terra, stimando la frequenza di impatto in uno per secolo, e la dinamica interplanetaria dei bolidi più luminosi, scoprendo una discrepanza nella valutazione delle caratteristiche fisiche di questa popolazione, se valutata in base alla traiettoria in atmosfera oppure secondo l'evoluzione orbitale.

Paolo si dedicò inoltre alle collisioni iperveloci, sia di asteroidi contro altri asteroidi, sia di detriti spaziali contro i satelliti artificiali. In particolare, aveva recentemente dimostrato che con le costellazioni di satelliti il rischio di impatto aumentava in modo tangibile.


Qualche ricordo personale... Conobbi Paolo nell'aprile del 1997 in occasione del convegno annuale della Società Astronomica Italiana, che quell'anno si teneva a Bologna, presso l'Area della Ricerca del CNR. Avevamo avuto occasione di scambiarci qualche messaggio di posta elettronica e così approfittai del suo passaggio a Bologna per andare a conoscerlo di persona. Dopo la sua relazione, Paolo decise di tornare alla foresteria dell'Università, dove alloggiava, e lo accompagnai. Facemmo una lunga passeggiata, discutendo di planetologia e, in particolare, gli raccontai del mio lavoro recente. In quei tempi, mi trovavo in un momento molto difficile per la mia attività di ricercatore e Paolo lo comprese subito. Non ci pensò due volte e mi invitò a Pisa per tenere un seminario sugli impatti di meteoroidi con i satelliti artificiali. Cosa che avvenne circa un mese dopo [L. Foschini: Probabilità di impatto di meteoroidi con i satelliti artificiali. Istituto CNUCE, CNR, Pisa, 14 maggio 1997.].

Quel seminario, e ciò che ne seguì, rappresentano per me una tappa importante: per la prima volta, c'era qualcuno che aveva fiducia nelle mie ricerche, che le riteneva interessanti al punto da spendere qualche lira per farmi fare un seminario. Paolo fu il primo a avere fiducia nelle mie ricerche, a trasmettermi la sua fiducia, a incentivarmi a continuare. Già due volte avevo dovuto rincominciare da zero in seguito a scelte sbagliate e non so se senza Paolo avrei trovato la forza di rincominciare una terza volta. Per questo non gli sarò mai grato a sufficienza.

Di lì a poco, Paolo mi coinvolse in una ricerca sulla dinamica interplanetaria dei bolidi più luminosi, qualcosa di simile all'articolo scritto nel 1995 con Tadeusz Jopek, Christiane Froeshlé e Robert Gonczi (T.J. Jopek et al., Long-term dynamical evolution of the brightest bolides. Astronomy and Astrophysics 302, 1995, p. 290). In questa nuova ricerca, oltre a me, si aggiunse anche Patrick Michel. La ricerca terminò nel giugno 1999, proprio poche settimane prima del suo malore, e i risultati sono stati pubblicati nel gennaio di quest'anno (L. Foschini et al., Long-term dynamics of bright bolides. Astronomy and Astrophysics 353, 2000, p. 797). Inoltre, sempre grazie a Paolo, nel marzo 1999 iniziai a collaborare con Giuseppe Longo e la spedizione scientifica Tunguska99.

Lo scorso autunno, quando ero alla ricerca di un posto di lavoro, Paolo mi aiutò suggerendomi di concorrere per le borse di studio dell'ESA, richiedendo di trascorrere un periodo all'Osservatorio Astronomico di Nizza. A questo proposito scrisse anche una lettera di presentazione, nonostante avesse a disposizione solo carta e penna. Quando però seppe che avevo vinto il posto al TeSRE [oggi INAF/IASF-Bologna], fu ancora lui a chiedermi di rimanere in Italia. A Paolo non potevo dire di no, e certo non perché stava male.

In quei giorni di primavera del 1997, nacque anche un'intensa corrispondenza via email, che si è protratta fino agli ultimi tempi, alternandosi con una corrispondenza epistolare, quando il computer non era accessibile. L'ultima sua nota mi arrivò il 3 febbraio, tramite Mario Carpino; l'ultima lettera che gli ho spedito è datata 13 febbraio 2000. Forse non l'ha mai letta.

Nella nostra corrispondenza abbiamo discusso di tutto, non solo di scienza. Paolo spesso mi dava utili consigli per interpretare quelle "regole non scritte" dell'ambiente della ricerca, impedendomi di fare più fesserie di quante non ne facessi abitualmente. Ripensando ai suoi consigli, mi vengono in mente i versi di Dante all'inizio del decimo canto dell'Inferno:

Or sen va per un secreto calle,
tra 'l muro de la terra e li martíri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle.
"O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi", cominciai, "com'a te piace,
parlami, e sodisfammi 'a miei disiri.

Ci si scambiava consigli di buone letture, sia libri, sia articoli; si discuteva sulle guerre e sul disarmo. Ogni tanto ci trovavamo su posizioni nettamente divergenti, ma con Paolo potevi discutere anche se non eri della sua opinione. E lui non voleva certo obbligare nessuno a pensarla come lui, anche se era fermamente convinto delle proprie idee.

Inoltre, si parlava anche di come si fa scienza, discussione che si è protratta fino agli ultimi tempi. E proprio in una di queste ultime lettere, datata 13 agosto 1999, Paolo raccontava il suo modo di vedere la scienza:

[...] Ti rispondo in modo un po' troppo breve e schematico a proposito della discussione su come si fa il lavoro scientifico. Intanto, io ho l'impressione che ci sia una grandissima variabilità di approcci soggettivi, un po' come nell'arte. Per quanto mi riguarda, io dipendo molto dalla lettura della letteratura, cioè dal seguire il lavoro degli altri, le ultime novità ecc. (anche tramite i convegni); ogni tanto, mi vengono in mente dei collegamenti "imprevisti" fra problemi o argomenti che di solito vengono considerati separatamente, e allora comincio a esplorarne le conseguenze. Molto spesso, non ho le competenze "tecniche" (fisiche, matematiche o numeriche) per andare avanti da solo, e allora cerco di coinvolgere qualche collega (normalmente più giovane) nello sviluppo del lavoro. Alla fine, mi piace anche curare la presentazione scritta ed orale, in modo da rendere l'articolo più facilmente leggibile o digeribile per altri che lavorino con me. Altre volte, specie quando interagisco con colleghi coetanei, o più anziani, cerco di discutere in modo approfondito i problemi aperti, i punti oscuri, i modelli alternativi ecc., e di cercare di identificare i vari step di una via che potrebbe portare a chiarire le cose. Non sempre funziona, ma spesso almeno i termini dei problemi diventano più definiti e più chiari. Ci vorrebbero altri esempi, lo so, ma in questo momento anche scrivere mi stanca un po'...
Un'ultima cosa: concordo con te sull'aspetto "conviviale" di molte occasioni di lavoro scientifico, ma penso che la sua importanza non stia tanto nei discorsi che si fanno, quanto nella possibilità di stabilire rapporti umani e amicizie con persone di origine ed esperienze diverse, ma con qualche interesse in comune (anche una buona padronanza dell'inglese serve molto per questo!). È questo secondo me uno dei grandi privilegi del lavoro scientifico, che arricchisce da molti punti di vista. Per me, l'amicizia e anche la collaborazione (almeno potenziale) con decine di colleghi sparsi per il mondo è un elemento di grande gioia e rassicurazione - anche, ma non solo, in circostanze particolari come le attuali.[...]



Ricordiamoci dunque del Paolo che abbiamo conosciuto, che vediamo in una foto all'ultimo congresso cui partecipò, quello di Torino (IMPACT, 1-4 giugno 1999). Ricordiamocelo così, in mezzo ai suoi amici, che hanno avuto l'onore e la gioia di conoscerlo. È incredibile che una persona con un cuore così grande abbia avuto proprio nel cuore il suo punto debole. Grazie Paolo, grazie per quanto hai fatto.

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