Proviamo a rileggere e a commentare alcuni passi di questa opera. Scriveva Galileo:
Grandi cose per verità in questo breve trattato propongo all'osservazione e alla contemplazione di quanti studiano la natura. Grandi, dico, e per l'eccellenza della materia stessa, e per la novità non mai udita nei secoli, e infine per lo strumento mediante il quale queste cose stesse si sono palesate al nostro senso.E più avanti aggiungeva:
[…] Inoltre non mi pare si debba stimar cosa da poco l'aver rimosso le controversie intorno alla Galassia, o Via Lattea, e aver manifestato al senso oltre che all'intelletto l'essenza sua; e inoltre il mostrare a dito che la sostanza degli astri fino a oggi chiamati dagli astronomi nebulose è di gran lunga diversa da quel che si è fin qui creduto, sarà cosa grata e assai bella.
[…] Quello che in terzo luogo osservammo è l'essenza o materia della Via LATTEA, la quale attraverso il cannocchiale si può vedere in modo così palmare che tutte le discussioni, per tanti secoli cruccio dei filosofi, si dissipano con la certezza della sensata esperienza, e noi siamo liberati da sterili dispute. La GALASSIA infatti non è altro che un ammasso di innumerabili stelle disseminate a mucchi; ché in qualunque parte di essa si diriga il cannocchiale, subito si offre alla vista un grandissimo numero di stelle, parecchie delle quali si vedono abbastanza grandi e molto distinte, mentre la moltitudine delle più piccole è affatto inesplorabile.
E’ interessante notare come Galileo usi indifferentemente i due termini Via Lattea e Galassia. Anticamente infatti erano sinonimi; solo in tempi recenti è invalsa l’abitudine di chiamare Via Lattea la debole striscia visibile ad occhio nudo e Galassia la totalità del sistema stellare a cui appartiene i Sistema Solare.
Per molti popoli, anche di diverse etnie come i Vichinghi e gli Incas, la Via Lattea era la strada che conduceva alla dimora degli dei. Per gli egiziani era il corpo sinuoso della dea Nut (il Cielo), separata dal marito Geb (la Terra) per opera del dio Ra (il Sole). Per gli indiani Navajo la Via Lattea è Yakàisdàni, colei che attende l’alba. Per i boscimani, popolo nomade che vive nel deserto del Kalahari, rappresenta il fumo di un fuoco acceso da una donna per indicare la strada al suo uomo disperso nella notte senza Luna. Secondo una prima mitologia greca, quel chiarore che “…biancheggia tra’ poli del mondo…” sarebbe il latte uscito dal seno divino di Era mentre allattava l’infante Eracle; secondo un altro mito rappresenta invece “…la strada che mal non seppe carreggiar Fetòn…” con il carro del Sole. Secondo un bellissimo mito cinese, la Via Lattea altro non sarebbe che un fiume impetuoso che separa due giovani innamorati (la stella Vega e la stella Altair).
Lo stesso Aristotele, il maestro di tutti i filosofi, aveva dubitato della natura celeste di quel chiarore, collocandolo nel mondo sublunare. Finalmente a Galileo fu chiaro cosa fosse questa “…Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi…”. Stelle, innumerevoli stelle, che costituiscono la nostra città stellare, la nostra galassia.
Per molti popoli, anche di diverse etnie come i Vichinghi e gli Incas, la Via Lattea era la strada che conduceva alla dimora degli dei. Per gli egiziani era il corpo sinuoso della dea Nut (il Cielo), separata dal marito Geb (la Terra) per opera del dio Ra (il Sole). Per gli indiani Navajo la Via Lattea è Yakàisdàni, colei che attende l’alba. Per i boscimani, popolo nomade che vive nel deserto del Kalahari, rappresenta il fumo di un fuoco acceso da una donna per indicare la strada al suo uomo disperso nella notte senza Luna. Secondo una prima mitologia greca, quel chiarore che “…biancheggia tra’ poli del mondo…” sarebbe il latte uscito dal seno divino di Era mentre allattava l’infante Eracle; secondo un altro mito rappresenta invece “…la strada che mal non seppe carreggiar Fetòn…” con il carro del Sole. Secondo un bellissimo mito cinese, la Via Lattea altro non sarebbe che un fiume impetuoso che separa due giovani innamorati (la stella Vega e la stella Altair).
Lo stesso Aristotele, il maestro di tutti i filosofi, aveva dubitato della natura celeste di quel chiarore, collocandolo nel mondo sublunare. Finalmente a Galileo fu chiaro cosa fosse questa “…Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi…”. Stelle, innumerevoli stelle, che costituiscono la nostra città stellare, la nostra galassia.
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi. – Marcel Proust
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