Sebbene la sua attività sia aumentata negli ultimi tre secoli, il “ciclo 24”, quello attualmente in corso, stentava a decollare. Infatti, dal gennaio 2004, anno di transizione tra il vecchio e il nuovo ciclo, sono stati registrati ben 816 giorni senza macchie solari. A tal punto che alcuni climatologi già preannunciavano il ritorno di un periodo di freddo intenso sulla Terra, ricordando che il periodo di quiescenza solare noto come “Minimo di Maunder” (1645-1715) coincise nella sua fase centrale con la “Piccola Era Glaciale” culminata con l’inverno del 1709, il più rigido degli ultimi 500 anni.
Poi finalmente nel febbraio scorso il nostro Sole si è rifatto vivo con la “tempesta di San Valentino”, una discreta tempesta che ha compromesso le trasmissioni radio su onde corte in alcune zone della Cina e alterato il segnale GPS per svariate ore in zone artiche dell’Europa.
I brillamenti sono potentissime eruzioni di plasma e radiazioni che si producono sulla fotosfera solare, con un rilascio energetico equivalente a decine di milioni di bombe atomiche. Quando e se il materiale investe la Terra (ricordiamo sempre che il nostro pianeta è un oggetto piccolo piccolo, con un diametro di poco inferiore a 13mila km, alla distanza di ben 150milioni di km dal Sole) può perturbare la ionosfera, la parte medio-alta della nostra atmosfera, piuttosto sensibile agli umori della nostra stella.
Dal punto di vista delle telecomunicazioni terrestri un Sole “agitato” è una cattiva notizia. Nell’ottobre 2003, ad esempio, sebbene il ciclo da poco concluso fosse in fase calante, alcuni eventi solari piuttosto intensi hanno compromesso il funzionamento di diversi sistemi telecomunicativi: alcuni ricevitori GPS ad alta latitudine hanno registrato un’interruzione del segnale ritardando parecchi voli su rotte polari, mentre la NASA ha dovuto disattivare i sensori di bordo di alcuni satelliti allo scopo di proteggere la strumentazione interrompendo di fatto le comunicazioni radio per diverse ore. Qualcosa di ancora più importante era già successo nel 1859, quando una portentosa tempesta geomagnetica passata alla storia come “evento di Carrington” elettrificò i cavi di trasmissione, provocò incendi negli uffici telegrafici e causò aurore boreali visibili alla Haway e a Roma, tra l’altro tanto intense da permettere la lettura di un giornale in piena notte!
Secondo l’Accademia Nazionale delle Scienze, al giorno d’oggi un evento di questo livello causerebbe danni dell’ordine di 2 mila miliardi di dollari e richiederebbe almeno 4 anni per riportare la situazione alla normalità.
E’ per questo motivo che, in vista del prossimo picco di attività solare, scienziati e ingegneri stanno lavorando allo sviluppo di nuovi ricevitori e di progetti dedicati alla mitigazione degli effetti dannosi indotti da una eccessiva attività solare. Tra i gruppi coinvolti in questo lavoro c’è anche l’Unità di Fisica dell’Alta Atmosfera dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
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